Ho sempre le mani sporche dato che passo molto del mio tempo a incidere il legno, modellare l’argilla e scolpire la pietra. Con i miei gesti ed il mio lavoro cerco di tramandare fino al nostro tempo un passato dell’uomo antico, senza il quale non esisteremmo. Ricordo ancora quando, da piccolo, con le gambe completamente affondate nella segatura, guardavo mio padre spogliare l’albero del suo mantello, modellandone la superficie fino a renderla levigata e perfetta: stava inventando un’epidermide, una pelle. Appoggiate alle pareti del laboratorio le grandi tavole di cedro mi accoglievano dopo la scuola con il loro profumo intenso e le venature fiammeggianti. L’arte ha inizio con la trasformazione ed io non ho mai dimenticato quella metamorfosi in quel polveroso e caldo laboratorio da falegname.
Oggi, a tanti anni di distanza, nel mio studio sono inscritti dappertutto i tentativi, le esperienze, le memorie di un uomo che non ha dimenticato il privilegio della manipolazione. Le mie mani fabbricano spesso strani strumenti, o li prendono in prestito dalla natura. Un ramo di legno, una pietra appuntita – qualsiasi arnese è utile per tracciare segni o plasmare la materia.
Le mie mani cercano sempre di sfruttare l’imprevisto, l’incidente. Credo che sotto le mie mani l’incidente sia una forma sconosciuta della vita e, a volte, lo ammetto, cerco di provocarlo … così …per prova. Nel tentativo di creare una forma nuova, le mie mani lasciano ovunque la loro impronta, misurandosi con la materia.
