Non so esattamente cosa e se voglio rappresentare ma, quando la grafite si appoggia sulla superficie piatta della carta, i segni iniziano a condensarsi intorno ad un nucleo significante.
Iniziano così i giorni, o meglio le notti, in cui decido di abbandonarmi al segno.
Allora le forme affiorano veloci dalla nebbia chiara ed acquea del disegno. La mano impugna la matita e dopo un rapido sguardo ai margini della pagina ecco il gesto, inizialmente vacuo, divenire deciso e a volte violento. La caligine si disperde mentre la pressione della mano inizia a variare la sua intensità e preme, schiaccia, si solleva, ripiega, striscia e infine sorvola il piano di lavoro. Linee, campiture, punti e segmenti scuri e grigiastri iniziano a generare una grande instabilità mentre i miei occhi li inseguono, li cercano e a volte li ritrovano.
Mentre disegno gli strumenti si modificano inesorabilmente: la punta in grafite si consuma arrotondandosi, il carbone si appiattisce e il pennarello nero si scarica condizionando e guidando così le sorti del mio progetto. E’ interessante osservare però come nella scultura sia il materiale ad essere condizionato e consumato da strumenti apparentemente duraturi. Trasferimento magico e impalpabile del disegno contro l’incisione forte e a volte brutale della scultura.
Nell’incanto del disegno tutto succede molto rapidamente, non c’è spazio per la sedimentazione o la riflessione, perché tutto appare in un istante oppure scompare nelle trame della foresta oscura.